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È Natale!
di Dino Ticli
(racconto pubblicato su un settimanale, 1999)
Roberto Landi avanzava con passo svelto lungo una viuzza acciottolata, piuttosto stretta e silenziosa. Aveva sollevato il bavero del cappotto e lo teneva stretto con la mano destra per ripararsi dal vento pungente e gelido che quella sera sembrava avesse scelto il suo stesso tragitto. Il cappello ben calcato fino agli occhi contribuiva a renderlo una figura anonima nella penombra. I lampioni, fissati ad un alto muro di pietre, emettevano una luce fioca e rossiccia ed erano così distanziati l’uno dall’altro che, quando ne aveva lasciato uno dietro alle spalle, poteva osservare la sua ombra accorciarsi sempre di più fino a vederla scomparire del tutto nelle zone di buio fitto.
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In effetti, quando il direttore aveva chiesto chi avrebbe voluto recarsi in quel paesino per scrivere l’ultimo articolo sulle tradizioni natalizie, tra lo stupore dei colleghi, si era offerto volontario. D’altra parte nessuno si era fatto avanti, comprensibilmente.
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Nessuno avrebbe rinunciato volentieri ai festeggiamenti in famiglia, di certo non la vigilia di Natale. Ma lui? Il bello ed elegante Roberto Landi, ammirato dalle colleghe ed invidiato dai colleghi: cosa lo aspettava a casa?
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Anche lui si rendeva conto che una stanza d’albergo non poteva considerarsi una casa, anche se tante volte si era vantato della sua libertà con i colleghi. Entrare ed uscire senza dover rendere conto a nessuno, invitare amici ed amiche a piacimento, avere qualcuno che riordini senza dover nemmeno ringraziare. Bella vita davvero, ma quella era una sera speciale e non avrebbe trovato nessuno a tenergli compagnia e così meglio lavorare.
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Sapeva già cosa avrebbe trovato nella chiesetta che lo aspettava in fondo a quella galleria del vento: uno dei mille insignificanti presepi tutti luci e stelline, magari uno di quelli con il giorno e la notte che si alternano cercando di ricreare la vita dove questa non c’è più, da duemila anni. O addirittura un presepio moderno dove al posto delle pecore ci sono le automobili, al posto delle case di argilla e mattoni, di legno e paglia, vi sono edifici in cemento e strade asfaltate.
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Ma le sue considerazioni si interruppero bruscamente perché inciampò in un ciottolo sporgente che gli fece perdere l’equilibrio. Prima di alzarsi, si permise di imprecare a voce alta, tanto in quel deserto nessuno lo avrebbe udito. Si spolverò il cappotto e cercò invano il cappello che sembrava essersi dissolto.
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Il vento ne approfittò per arruffargli i capelli ed infilarsi gelido tra il collo ed il bavero.
Fece gli ultimi metri corsa e spinse con forza una pesante porta di legno. Tirò un sospiro di sollievo, ma fu subito colpito dal forte odore di incenso, di cera e di umidità.
Sul fondo, appena illuminato, si intravedeva un altare sormontato da una pala di legno dipinta. Un Cristo benedicente, sebbene ormai inscurito dal fumo di mille candele, lo accolse con un sorriso immobile che elargiva da chissà quanto tempo.
Erano molti anni che non metteva piede in una chiesa e un inaspettato senso di disagio contribuì a renderlo ancora più inquieto. Si mosse allora lentamente sul pavimento di pietre irregolari per raggiungere una delle prime panche. Prima di sedersi, notò come lo scrupoloso lavoro di generazioni di infaticabili tarli e l’intenso uso, sebbene più deboli, avessero reso austeri quei poveri sedili. Per questo non lo ritenne un difetto anzi gli parve che tutto facesse parte di una scenografia che nemmeno il più abile degli architetti sarebbe stato in grado di creare.
Una luce, solo un po’ meno fioca di quella delle candele che ardevano ovunque, si accese presso un altare laterale. Ebbe un moto di fastidio, come se un rumore inopportuno e stonato avesse rotto l’incantesimo di un concerto.
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Ma non lo fece. Si diresse invece verso quella luce, come se si fosse accesa per lui. Sapeva che sarebbe rimasto deluso nel vedere l’ennesima ricostruzione, piena di buona e sciocca fede, di un fatto storico in cui troppe persone riponevano le loro speranze.
Era ormai all’altezza dell’altare laterale, quando le luci, dopo aver traballato per qualche istante si spensero del tutto.
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Un odore di muffa e di legno lo avvolse procurandogli dapprima un senso di fastidio; tuttavia gli risvegliò lontani ricordi e si trasformò rapidamente in qualcosa di dolce e piacevole: la casa di campagna dei nonni, la loro cantina piena di mobili polverosi e umidi tra i quali aveva passato ore giocando a nascondino con i suoi cugini.
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Ma la luce della chiesa era troppo fioca e poté distinguere solo le sagome nere dei personaggi. Erano piuttosto grandi e disposti nelle pose più strane.
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Tornò quindi rapidamente al presepio, proteggendo la piccola fiamma con una mano.
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Il personaggio più vicino fu illuminato di rosso e proiettò un’ombra che danzava al ritmo della fiammella. La statuetta era piuttosto grossa ed intagliata nel legno, come aveva immaginato. Era stata dipinta con cura e rappresentava un uomo di una certa età, con la faccia rugosa ed una folta barba bianca; reggeva una lanterna per illuminare la strada e gridava qualcosa di incomprensibile nonostante tenesse una mano attorno alla bocca per farsi sentire meglio.
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Più in là trovò una donna con un grande cesto sulla testa, all’interno del quale vi erano dei pani e dei pesci. Aveva uno sguardo serio e pensieroso che non lasciava trapelare nulla riguardo al luogo verso cui si stava dirigendo in tutta fretta.
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Ebbe per un attimo la tentazione di spostare la statuetta della donna perché potesse finalmente ricongiungersi con il padre. Ma si vergognò di quel pensiero infantile.
Con la candela illuminò allora la strada seguita dalla donna che si inerpicava verso una collina, ma dovette immaginarla più che vederla. Una sorgente d’acqua, che la mano esperta di un pittore aveva saputo rendere viva e fresca, scorreva da una pietra ai piedi della collina e si gettava in una grande vasca. Un’altra donna era china presso la fonte e attingeva con un secchio. Una serie di pieghe sulla fronte e la smorfia sul volto non lasciavano dubbi sulla fatica a cui si stava sottoponendo.
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Più staccati, due uomini discutevano animatamente. L’argomento della disputa erano sicuramente due galline che uno dei due teneva per le zampe, mentre l’altro, forse un compratore, le indicava con la mano.
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Si massaggiò con vigore e fece per spegnere la candela ridotta ormai a un mozzicone, ma la fiammella, in una delle sue ultime danze, illuminò per un istante un angolo che altrimenti difficilmente avrebbe potuto vedere. E in quell’angolo un’immagine comparve per sparire nuovamente nel buio del presepio.
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Era piccolo, molto più piccolo rispetto alle altre statuine, quasi sproporzionato, come se l’autore avesse voluto accentuare il senso di fragilità e di tenerezza che suscitava. Se ne stava rannicchiato dietro a un masso risultando quasi invisibile. Alte erbe lo nascondevano ancor di più. Lo sguardo era perso nel vuoto ed un lungo bastone da pastore giaceva ai suoi piedi. Anche i suoi abiti rendevano chiaro il suo mestiere. Ma non vi erano né pecore né capre vicino a lui. Roberto diresse la luce tutt’intorno, ma il gregge più vicino si trovava in un’altra zona del grande presepio ed era accudito da tre pastori che sembrava sapessero il fatto loro.
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“Ne ho tante”, avrebbe voluto replicare, ma tante significava nessuna e così gli rispose: -
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Che impertinenza. Non era solo, Roberto Landi: aveva tanti amici e conosceva un sacco di persone. Il suo cellulare squillava in continuazione. Quando lo desiderava, trovava sempre qualcuno che gli tenesse compagnia, e se proprio gli andava male, c’era pur sempre un buon libro o un film.
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In effetti, i personaggi divennero sempre più numerosi: trovò un falegname, un arrotino, un venditore di olive, una lavandaia con un cesto sulla testa, un uomo in groppa a un asino, una signora anziana tutta curva... -
In un angolo, vicino ad una mangiatoia vuota, le statuine di Maria e Giuseppe erano già in adorazione, come ormai facevano da chissà quanti anni.
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Aveva illuminato un personaggio vestito di azzurro che dall’alto della capanna osservava la gente arrivare. Le ali spiegate e i lunghi capelli biondi dichiaravano la sua natura.
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Quattro pecore gonfie di lana se ne stavano beatamente sdraiate ai bordi della capanna. Le illuminò, ma il loro sguardo sembrava dire: “Guai se osi toccarci! Qui siamo a casa nostra”.
Tornò dal bambino, Roberto Landi, e senza pensarci troppo lo sollevò dal suo nascondiglio e lo portò con delicatezza fino alla capanna. Lo sistemò tra le sue pecore e gli parve, con soddisfazione, che l’espressione triste fosse scomparsa dal suo volto. Il pastorello aveva ritrovato il suo gregge e Roberto Landi aveva riscoperto qualcosa che pensava di aver perso per sempre.
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Quella voce inattesa lo fece girare di scatto, sorpreso.
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Il giornalista si guardò ancora attorno, smarrito; la chiesa infatti non era più vuota, ma numerose persone erano già sedute sulle panche.
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Intanto le luci del presepio si erano accese e avevano restituito alle statuine la staticità e l’impassibilità per loro naturali.
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Roberto Landi si sentì pervadere da un senso di sollievo. Spense la candela, si passò, con un gesto a lui abituale, una mano nei folti capelli e finalmente rispose sorridendo: -